Milano, questa città fatta di tante città, ti conquista giorno dopo giorno. È come una donna, si impara a conoscerne tic, abitudini, il suo modo di guardare e di guidarti.

Milano cambia e tu cambi con lei, si srotola tra i nuovi colori della metro, con lo skyline che gioca a nascondino tra il ritorno della nebbia e nuovi palazzi che giocano a farne una nuova terra di opportunità. Negli anni, tra custodi di palazzo pronti a raccontarti la loro milano e noi – orgogliosamente terroni, sparpagliati qui come semi al vento con le nostre vocali dilatate e raddoppiate a caso – sempre pronti a far fronte comune tra tutti quelli che vengono da sotto la linea del Po, c’è una solidarietà nuova.

Una foto pubblicata da Antonino Pintacuda (@antoninopintacuda) in data:

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Non ci sono più le case a ringhiera, lasciate agli artisti ma ci sono coinquilini che ti donano un po’ del loro bagaglio, come una cena del Sud ben riuscita con quel poco che con pane e fantasia riesci a mettere sul fornello. C’è la Milano sotto la pioggia grigia e fatta di cera squagliata, quella di sole e azzurro da far impallidire il nostro solleone che scolora il giallo del tufo cavato dalle pirriere, c’è la Milano ‘allicchitata’, di gente che spende tutto in aperitivi e boutique per poi fiondarsi sui buffet degli chef stellati con la stessa fame atavica di Totò che si riempiva le tasche di maccheroni. Sono già sei gli anni all’ombra della Madonnina. Con lo skyline cambiato e la mappa della metropolitana ancora più colorata.

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Qui va davvero tutto più veloce, già dopo un solo lustro posso dire che ‘mi ricordo’ quando la gialla arrivava solo a Maciachini e di lilla c’era solo la mucca della Milka in perenne offerta all’Esselunga. A Natale ho riabbracciato il mio vecchio compagno di stanza, Carlo. Lui ha l’entusiasmo che hanno i bambini all’alba delle scoperte. Ci siamo rivisti sul lungomare di Bari, mentre iniziava a piovere una pioggerellina sottile che slavava via i pensieri e i ricordi. Si ricordavano gli anni del convitto, le prime nevicate, il modo in cui questa Milano ti cambia in un modo irreversibile, spalancandoti la testa e facendoti dire addio per sempre alla gabbia dorata dell’inamovibile Sud in cui tutto, ciclicamente, si ripete.

Quest’anno è tornata pure la nebbia, così fitta che non si vedevano manco i lampioni.

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Sei anni dopo ancora la cadenza siciliana è qui e lotta insieme a me, l’asciugamano resterà per sempre tovaglia e le vocali non si chiuderanno mai. Ma sei anni sono tanti, pochi, abbastanza? Mi ricordo una Bagheria che forse non c’è più, ormai cristallizzata a quel 2010 in cui ho fatto il biglietto di sola andata, quando ancora c’era l’edicola di Pippo, la ‘carnezzeria’ Casa, la Benetton e la Sisley nel Corso, la guerra tra favorevoli e contrari alla chiusura del Corso, le riunioni di redazione di 90011, le passeggiate maieutiche con Fabio, i pezzi di rosticceria in notturna prima del cornetto all’alba.Che qui li chiamano e li chiameranno sempre brioche confinandoli nell’inferno della colazione consumata in tempi record al bancone.

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Siamo quasi tutti sparpagliati lungo lo Stivale e forse qualcuno sul mappamondo. Ma resteranno i pomeriggi a Sale e Pepe, le mattine al bowling quando ce la buttavamo, i compiti da finire davanti a Sarabanda. Le riunioni al Bacio Bar, le birre allineate come soldati in alta uniforme nei tavolini della Rotonda, le passeggiate prima alla Caravella e poi da Don Gino con le panchine assegnate ai vari gruppi e la fetta di margherita o il moffoletto da Mineo’s e le assemblee di istituto rimpiazzate dal matinée all’Excelsior o al Capitol.

Caro Marco, la corsa è diventata una camminata chilometrica. A voler credere al braccialetto contapassi sono quasi 8 chilometri ogni mattina. Tutte le mattine in cui vado a lavorare attraverso Milano dalla periferia nord e vado sino al centro. Passo per il nuovo skyline che da un paio di giorni gioca a nascondersi nella nebbia.
Sì, è tornata la nebbia. Che qui dona fascino e silenzio.
Se ricordi la nostra vita siciliana nelle mattine di scirocco c’era un senso di sospensione. La notte ci aveva asciugato pensieri e desideri e il sole già alto minacciava di picchiare ancora di più. Qui ti svegli, metti la moka sul fornello e per vecchia e intartarata abitudine guardi fuori. Niente. Si vede solo il lampione ancora acceso che cerca di sciabolare le gocce d’umido in sospensione. Mi sentivo tanto pascoliano mentre in testa mi riecheggiava ‘nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch’è morto’. Che in questi giorni cade dritto come un cece.

Qui tutto grigio, ‘impalpabile e scialba’ sta nebbia si mangia i palazzi belli e vuoti che hanno divorato il bosco di Gioia. La torre Unicredit che sfida la Madonnina in altezza è sparita, prima il pinnacolo, poi mattina dopo mattina tutta. Rimpiazzata da quel grigio che ti bagna pensieri e desideri. Lava via e fa pensare ancora di più al gran casino che sta succedendo a tiro di schioppo, in diretta continua sulle reti all news.

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Ho messo in stand by per qualche giorno il Kindle e leggo nella metro che la sera mi riporta a casa pagine su pagine di inchiostro ed editoriali. Hanno tutti la risposta in saccoccia. L’unico che forse ha detto qualcosa fuori dalle analisi a tempo zero è stato Polito: “Con le idee del Novecento non comprendiamo più ciò che sta accadendo, e non capiamo come reagire” scriveva. Sono quegli incipit retorici che ci riescono così bene, su cui siamo così bravi a baloccarci, quasi fosse l’eco della bella sensazione che abbiamo provatola primissima volta che il nostro nome era lì, sulla pagina di un giornale vero, stampato, di carta. Ma è innegabile e vero: non l’abbiamo la chiave per capire questo pandemonio. Lì nella Capitale mentre cerchi nuovi posti nascosti, che aria tira?

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