Libri che appaiono e scompaiono falciati via dalle novità che spingono furiose da sotto il cartone degli scatoloni dei distributori, ricacciando i titoli del mese scorso tra le giacenze destinate al macero e all’oblio. Capita così che anche capisaldi della letteratura mondiale che annoverano entusiastici e blasonatissimi ammiratori finiscano tra i non più disponibili, nemmeno nell’eterea impalpabilità dell’inchiostro digitale.
Einaudi che aveva pubblicato la riedizione di Pedro Paramo di Juan Rulfo ha subìto lo stesso destino, ricacciando via dagli scaffali il capolavoro della letteratura messicana amato anche da Gabriel Garcia Marquez e da Borges. Dopo la travagliata storia editoriale, il libriccino che ha compiuto sessant’anni l’anno scorso, oggetto di culto e al centro di celebrazioni al di là dell’Oceano, è riscomparso, come i suoi personaggi.
La storia di Juan Preciado che parte verso la polverosa Comala alla ricerca di suo padre Pedro Paramo procede per sottrazione. Un intero paese stritolato dalle vessazioni del potente Paramo, nella luce accecante del sole del pomeriggio.
Comala è una città in cui si muovono fantasmi senza pace a cui il prete del paese dona quella pace che la vita gli ha negato:
Adesso ero qui, in questo paese silenzioso. Sentivo cadere i miei passi sopra le pietre rotonde con cui erano lastricate le strade. I miei passi vuoti, che ripetevano il loro suono nell’eco dei muri colorati dal sole del tramonto. Continuai a camminare per la strada principale in quell’ora. Guardavo le case vuote; le porte sgangherate, invase dalle erbacce.
Una zona del crepuscolo, tra la vita e la morte. In cui sono i morti a cercare i vivi per ricordagli che anche la loro carne è destinata a imputridirsi, si sentono solo i mormorii tra le crepe delle case, ingabbiati dietro vetri appannati. Di Comala, del figlio di Pedro Paramo, del fantasma di Paramo non resta che polvere e l’eco di lontani mormorii.
Questo paese è pieno di echi. Ti sembrano rinchiusi nel vuoto delle pareti o sotto le pietre. Quando cammini, senti che ti calpestano i passi. Senti degli scricchiolii. Risate. Risate ormai molto vecchie, come stanche di ridere. E voci ormai logore dall’uso. Senti tutto quello. Penso che arriverà un giorno in cui questi rumori finiranno.
I corpi degli spiriti senza pace non spariscono come vapore, si disfano tra croste di terra, tra pietre, polvere e miseria. La festa dei morti che aspettano la loro vendetta per il padrone che li ha venduti strappando loro l’unica fonte di sostentamento, le voci e i mormorii si fanno sempre più intensi:
Ormai non ero più in me; ricordo che andavo avanti appoggiandomi contro i muri come se camminassi con le mani. E dai muri parevano stillare i mormorii come se filtrassero dalle crepe e dalle scrostature. Io li sentivo. Erano voci di persone; non voci chiare, ma segrete, come se quando passavo mi sussurrassero qualcosa, o ronzassero nelle mie orecchie. Mi allontanai dai muri e continuai in mezzo alla strada; ma le sentivo ugualmente, proprio come se venissero con me, davanti o dietro a me.
Un libro che ha segnato la vita di Marquez che lo ha ricordato più volte, dicendo che Pedro Paramo ha cambiato la sua vita e il suo modo di scrivere, sino a ricalcarne un paragrafo per il celeberrimo incipit del suo Cent’anni di solitudine:
Álvaro Mutis salì a grandi falcate i sette piani di casa mia con un pacco di libri, separò dal mucchio il più piccolo e mi disse ridendo forte: “Leggi questa sciocchezza, cazzo, e impara!” Era Pedro Páramo. Quella notte non riuscii a dormire prima di aver finito di leggerlo per la seconda volta.