di Marco Viviani

Alle ore 16.30 del 16 gennaio 1975, presso le «Officine Grafiche» di Vicenza usciva dalle rotative la prima copia di Horcynus Orca, un voluminoso romanzo di 1264 pagine pubblicato dalla casa editrice Mondadori. Il suo autore, Stefano D’Arrigo, 55 anni, era in pratica un esordiente.


Quel che sarebbe accaduto da lì in avanti, cioè un clamore critico di dimensioni tali da riempire le colonne di tutti i giornali e le riviste italiane per alcuni mesi a seguito della pubblicazione (il libro arrivò nelle librerie il 25 febbraio), era stato solo parzialmente previsto dall’editore, che pure aveva contribuito con un robusto lancio pubblicitario all’immediata notorietà del libro e del suo autore. Notorietà che contribuì a farne un “caso editoriale”: in quegli anni quasi un sottogenere della narrativa italiana.

La ricezione di quel romanzo tanto anomalo, l’affermazione d’immagine di un autore così antimondano, recavano in sé implicazioni intrinsecamente e fortemente extraletterarie che coinvolsero contemporaneamente tutti gli elementi in gioco: autore, editore, opera, informazione, critica, pubblico, mercato, contesto sociale. La società letteraria italiana si trovò alle prese con un oggetto che si distingueva dagli altri libri sotto ogni punto di vista: dimensioni, costo, presentazione, contenuto, profilo dell’autore, ambizioni più o meno dichiarate del suo editore. Che aveva atteso quindici anni per vedersi consegnata l’opera.

Difatti, Stefano D’Arrigo aveva firmato nel 1960 con Alberto Mondadori il contratto per I fatti della fera, pratica che sette anni dopo venne consegnata direttamente al Presidente Onorario Arnoldo Mondadori, ma il romanzo, col nuovo titolo di Horcynus Orca, sarebbe stato pubblicato solo nel 1975 sotto la presidenza di Giorgio Mondadori. Dunque la medesima casa editrice, ma tre editori di due generazioni diverse e differente impostazione professionale e culturale, e una costellazione di personaggi (Niccolò Gallo, Walter Pedullà, Mirella Delessert, Giuseppe Pontiggia, Mimma Mondadori, Vittorio Sereni, Sergio Polillo…) che a vario titolo collaborarono al buon esito di quella che in più occasioni era parsa un’impresa disperata. Una vicenda clamorosa nella storia dell’editoria italiana, che peraltro in passato non aveva certo disdegnato di contemplarne altre (pensiamo a Metello, Il Gattopardo o La Storia).


Era dunque naturale attendersi una grande curiosità alla pubblicazione del romanzo: nessun testo di nessun autore italiano aveva mai ottenuto un tale credito dal suo editore, tanto da alimentare leggende sulla figura solitaria e misteriosa di Stefano D’Arrigo e il suo immane sforzo intellettuale per portare a termine il capolavoro di una vita intera.


Questi due elementi – il capolavoro e il sacrificio personale dell’autore – costituirono anche i presupposti della campagna pubblicitaria della Mondadori. Forse anche per questa ragione l’attenzione della critica militante si rivolse soprattutto alle caratteristiche extratestuali di Horcynus Orca, concentrandosi in particolare sulla lunghissima stesura del romanzo ad opera del suo autore, raccogliendo e facendo propri molti aneddoti, già da tempo circolanti nell’ambiente salottiero-letterario romano, che ritraevano D’Arrigo rintanato in casa in preda a mania di perfezionismo, amorevolmente sostenuto dalla moglie in tutte le esigenze materiali. Non mancarono le ironie, spesso feroci, talvolta infondate; alcuni non resistettero dal bollare il tutto come una iniziativa puramente commerciale dichiarando che quel libro non l’avrebbero neppure aperto. Le letture di politica editoriale e di costume superarono di gran lunga quelle esclusivamente letterarie, col risultato che alcuni mesi dopo la pubblicazione, spenta l’eco delle accesissime polemiche incrociate tra elogiatori e detrattori, Horcynus Orca sparì dal dibattito critico letterario italiano senza in pratica farvi più ritorno.

Da allora fino a oggi, sono rimaste perlopiù inevase le domande sorte attorno a questa vicenda: Cosa spinse l’editore ad attendere 15 anni perché il romanzo vedesse la luce? Per quale ragione la Mondadori mise in atto una strategia pubblicitaria senza precedenti per linguaggio, tecnica e risorse portandola avanti sino in fondo nonostante le evidenti controindicazioni?Perché Horcynus Orca fu accolto dalla critica militante con sentimenti così contrastanti?

Le circostanze straordinarie che hanno variamente concorso alla sofferta ricezione di Horcynus Orca facendone un “caso scuola” nella storia dell’editoria italiana rimandano alle strutture ideologiche di quel contesto letterario, quello degli anni Settanta in Italia, quando cominciava ad emergere il passaggio da un’editoria-artigianato ad un’editoria che voleva diventare una vera industria, pur basandosi su alcune competenze artigianali. I primi vagiti della concentrazione del mercato editoriale cominciavano a imporre ritmi ed economie di scala, sull’esempio dei mercati esteri, ad una attività fino ad allora anomala del settore industriale italiano.


Ma l’analisi del contesto non basta per dipanare una vicenda altrimenti appiattita sulle sole terze pagine che si occuparono del “caso”, corresponsabili della vulgata che costrinse il romanzo dentro a logiche di sola contrapposizione (capolavoro/fiasco; genio/imbonitore ecc…). Sorte che fu gravemente dannosa per la sopravvivenza del romanzo.

La storia di questo caso editoriale va ricondotto da principio al rapporto dinamico tra l’apparato Mondadori e questo progetto di romanzo, che attraversò almeno tre grandi fasi interessando persone diverse: quella dell’intuizione (Vittorini, Sereni) quella dell’acquisizione (Alberto e Arnoldo Mondadori) e quella della pubblicazione (Giorgio e Mimma Mondadori, Domenico Porzio) che corrispondono anche ai diversi modelli che la lunga genesi del romanzo via via avrebbe rappresentato, soprattutto agli occhi dei suoi editori.

Se dapprima il romanzo era sembrato seguire una domanda di superamento stilistico che era quelle vigente in quell’anno 1960 in cui D’Arrigo firmava il contratto e la Mondadori pubblicava l’Ulysses, negli anni Sessanta il testo incarna la voglia di anticipare la domanda di “nuovo romanzo”, ma è soltanto negli anni Settanta, gli anni della profezia della “morte del romanzo”, che Horcynus Orca giunge a creare la domanda attraverso di sé e il suo “caso”.

L’osservazione del comportamento della casa editrice, la sua strategia di lancio, svela, alla luce di quanto visto e letto in precedenza, una frattura generazionale e professionale avvenuta al suo interno negli anni a cavallo dell’uscita del romanzo. Le persone che avevano creduto nell’Orca non erano più (tranne Sereni) quelle che lo avevano ereditato ed ebbero in quel difficile 1975 il compito di promuoverlo. Molto era cambiato nel frattempo. Ma non il sogno del padre fondatore, Arnoldo, che come Re Amleto risuonava per le stanze di Segrate: «Ho cominciato con D’Annunzio, finirò con D’Arrigo».Questo trauma, una sorta di vedovanza, impedì di considerare lucidamente le caratteristiche del romanzo e si decise di imporlo come best seller nonostante assomigliasse più ad un long seller.

Se dapprima il romanzo era sembrato seguire una domanda di superamento stilistico che era quelle vigente in quell’anno 1960 in cui D’Arrigo firmava il contratto e la Mondadori pubblicava l’Ulysses, negli anni Sessanta il testo incarna la voglia di anticipare la domanda di “nuovo romanzo”, ma è soltanto negli anni Settanta, gli anni della profezia della “morte del romanzo”, che Horcynus Orca giunge a creare la domanda attraverso di sé e il suo “caso”.


Il lancio in grande stile di Horcynus Orca ebbe come risultato quello di renderlo un oggetto assai difficilmente classificabile per le stanche categorie critiche italiane, che frettolosamente lo attaccarono dalle pagine militanti vedendo in esso, a torto o a ragione, il simbolo della nuova strategia che le grandi case editrici stavano cercando di imporre: il superamento delle logiche di “consorteria”, con le quali la critica aveva sin lì perpetuato il proprio ruolo, per mezzo di un deciso orientamento al marketing più aggressivo, tutto rivolto ad un nuovo tipo di lettore-consumatore.
Questa nuova strategia comunicativa, che possiamo far nascere convenzionalmente con il lancio editoriale di Horcynus Orca (15 gennaio 1975), è tuttora presente e vivissima nel mercato delle lettere italiano.


Horcynus Orca
non è però soltanto un caso per il lancio editoriale e per il battage che scatenò. Questo romanzo reagisce, quasi fosse una cartina di tornasole, a tutti gli accostamenti e gli angoli di visuale critica che gli si vorranno imporre. Immerso in uno qualunque dei molti humus metodologici di cui disponiamo, potremo osservare ogni volta reazioni interessanti. Sia che lo si consideri come figura del ciclo produttivo, in tutti i suoi aspetti (ideazione, scrittura, pianificazione, editing, stampa, tirature, distribuzione, promozione, diffusione, ricezione, lettura), sia che si orienti l’attenzione verso il modello letterario che nel corso dei lunghi anni di stesura il progetto di romanzo di D’Arrigo ha gradualmente incarnato, Horcynus Orca non smette di stupire per le sue caratteristiche e consegna allo studioso molti spunti di riflessione.


Da questo punto di vista, il romanzo di D’Arrigo, e D’Arrigo stesso, continuano ancora oggi a rappresentare un esempio scomodo. Tanto che si può dire che in quella vicenda si commise un delitto: quello di non considerarli per quello che erano: un grande testo, di un grande autore. Dato che il delitto che ha fatto dell’Orca un libro per pochi si è compiuto all’interno dell’intricato mondo abitato insieme da editori, critici e lettori, è ipotizzabile che l’opera di Stefano D’Arrigo possa godere in futuro di un interesse più largo dell’ambito strettamente elitario al quale sembra essere condannata?
Forse sì. Ma soltanto quando ancor prima della critica si farà autocritica.

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