Avrei conservato quella voragine con tutti i residui dell’esplosione aggiungendo solo una curva in più all’autostrada, dopo tutte quelle messe inutilmente all’epoca per risparmiare i terreni dei mafiosi. Avrei ingaggiato i giardinieri più esperti per evitare in quel sito la crescita di ogni vegetazione selvatica, compresi i fili d’erba che trovano sempre la strada e danno linea gentile alle pietre. Non avrei messo nessun cartello, il monumento alla memoria – anzi quel pezzo di terra sul pianeta – avrebbe parlato da sé come le orme dei crateri lasciate nei deserti dalle meteore lungo i millenni.

Perché non c’è controcanto in questa memoria, il discorso pare tutto sul “buono” nato da quel sangue e sui valori da tramandare, come un racconto ormai tradizionale dove però manca il nemico, non si vede mai. È vero, ne viviamo ogni giorno i segnali e la realtà mutevole, ma se non si cristallizzano anche gli effetti della violenza (della mafia e dello stato) ricordo e memoria rimangono sguarniti, senza sorveglianza, come Ilaria Cucchi senza la foto del fratello pestato a morte.

Avrei ingaggiato anche, allora, dei sorveglianti che, come i giardinieri con le piante, tenessero lontani i bambini dalla voragine, in segno di rispetto. Perché è bella l’immagine di “innocenti” che vivificano un luogo di morte, ci dà sollievo e tanta fiducia: fragili e finti, però, se non si custodiscono i segni della ferocia e del suo carattere irreversibile.

Hai ventinove anni, oggi, e forse già un figlio. Due generazioni siete, capaci di intendere molto sul passato e leggerne le mutazioni nella società di oggi, l’eco di quella ferocia nel tempo risuona ancora. Ma se tutti – noi, i nostri genitori e i nostri figli (tre generazioni, già) – se tutti potessimo ancora oggi sfilare accanto a una voragine, la stessa voragine, com’è del resto nel quotidiano, osando una metafora.

Se tutti potessimo farlo, se potessimo indicare quel controcanto fisico alla nostra memoria, controcanto simbolico rispetto ai gentili corpi arborei della memoria sotto le case di Falcone e di Borsellino, ci sarebbe forse qualcosa in più, non so, una profondità acustica maggiore nel riverbero di quell’eco e, magari, più rispetto, cautela e silenzio di quelli reperibili oggi. Vedi, amore, quel grande fosso?

Ma questo è un sogno scorretto, perché non si può smentire. Si può raccontare però, come figura mancante dentro una storia. Si possono descrivere i margini di quel cratere col dito sospeso nel vuoto.

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