Dopo anni di investigatori con domicilio all’ombra della Madonnina, tra le vie di Bari o nell’immancabile isola triangolare, la Calabria ha finalmente il suo investigatore. Frutto della mente empedoclea di Fausto Vitaliano, che, dopo l’esordio nel giornalismo musicale ha scritto, tradotto e sceneggiato, diventando una delle penne di punta della scuderia Disney. Mirabili le parodie con Pippo e Topolino: Le fantastiche avventure di don Pipotte e del suo fedele scudiero Miguel Topancho e Topolino e Pippo – On the road, oltre tutte le storie del ciclo “Tutti i milioni di Paperone”. Dopo i due romanzi editi da Laurana, Vitaliano ha creato un personaggio che merita già una serie tv, capacissimo di tener testa all’ennesima replica di Montalbano.

Unanime il più che positivo giudizio per Gori Misticò che inizia le sue avventure tenendo la mano a un compaesano spaventato dall’altitudine sul volo che da Milano lo riporta nella terra natia. Sta leggendo un’avventura di Topolino e l’investigatore con la coda gli darà più di un suggerimento utile alla risoluzione dell’indagine.

Per lui Antonio D’Orrico, il critico letterario del Corriere della sera, non ha risparmiato sugli aggettivi:

Fausto Vitaliano ha scritto un noir di primissimo ordine riuscendo a domare, letterariamente, la Calabria come si fa con una belva feroce, e cogliendone il profumo «di terra e mare insieme e quel lontano aroma della mandorla (amara? ndr), somigliante a una nota di oboe in una sinfonia» (sublimi parole che prendo in prestito dalla pubblicità dell’insuperabile olio prodotto dai baroni Celata di Lauria). La più struggente poesia calabrese, O rindinèddha chi pàssi lu màri, fu scritta, giurava l’anonimo autore, col sangue e sigillata col cuore. Lo stesso si può dire di questo bellissimo noir.

Fresco vincitore del premio Nebbiagialla con la prima delle sue ultime indagini, il fatalista Misticò è già tornato in libreria con la sua seconda ultima indagine, così dopo La mezzaluna di sabbia, i lettori hanno ricontrato il loro nuovo beniamino tra le pagine de La sabbia brucia.

Nomen omen, quello di Misticò, frutto di un refuso dell’anagrafe a posto di quel calabresissimo Nisticò che era corretto. Ma anche per assonanza de-accentata con “mistico”, che a credere all’etimologia dei Greci con cui Gori condivide i natali, sono gli uomini del mistero, che strizzano gli occhi di fronte a verità ancestrali. Una dimensione che non manca di far capolino tra personaggi minori che restano nella memoria, a tutto tondo che sembra quasi di incontrarli tra le viuzze di San Telesforo Jonico. Ma c’è una dimensione altra a cui si accenna più volte:

Il sorrisetto di Gori Misticò addormentato non ha niente a che vedere con le speranze e i ragionamenti interiori dell’amico medico. Forse il sorriso di Gori Misticò non è neppure un sorriso, ma un movimento involontario delle labbra e di qualche muscolo della faccia, come quelli di un neonato che dorme. I neonati sognano? E, nel caso, che cosa sognano? La tetta della mamma, il piacere profondo di succhiare e nutrirsi (e, infatti, il neonato che dormendo sorride poi attacca pure a simulare la ciucciata). E Gori sta sognando? Cosa sta sognando? Una spiaggia deserta. Una voce conservata nella memoria che gli grida: Ti aspetto, Grego’. Mòviti!
Gori si gira ma non vede nessuno. Come sempre, qui c’è solo cielo, mare e vento. Però, lì davanti, appoggiata sulla sabbia come in un quadro metafisico, è comparsa una porta di legno scuro. Gori ci si avvicina, fa per appoggiare la mano sulla maniglia, ma la porta si apre da sola.
Oltre la soglia c’è una stanza bianca, di un bianco nitido e talmente abbagliante che pare azzurro. Sembra la sala d’attesa di un dentista maniaco della pulizia.
“Ecco, aspetta qui,” gli sembra di sentire dire da qualcuno, anche se non c’è nessuno. “Aspetta qui,” gli ripete la voce. “Tra poco riceverai informazioni.”
“Sto per morire?” domanda Gori rivolgendosi a non si sa chi.
“Esatto,” risponde la voce. “Come tutti. Perciò, tieniti pronto. Tutti dovrebbero tenersi pronti.”
“Cosa devo fare?”
“Togliti le scarpe,” dice la voce. “Sono piene di sabbia.”

La sabbia torna più volte, un filo di rena collega i due libri. Non finisce qui.

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